Il burnout relazionale: quando anche amare stanca

Quando anche l’amore fa fatica a respirare, le parole smettono di uscire e i silenzi diventano pareti. C’è una stanchezza che non si vede ma si sente, ogni sera che si rientra. A volte basta riconoscerla per cominciare a scioglierla. E tornare, forse, a scegliersi.

coppia in crisi
Il burnout relazionale: quando anche amare stanca – efitworld.it

Ci sono giorni in cui non si ha voglia di tornare a casa. Non perché sia successo qualcosa di grave, ma perché l’idea di affrontare silenzi pesanti, occhi che evitano lo sguardo o discussioni già viste fa venire voglia di girare il volante e guidare senza meta. Non è odio, non è rabbia. È più simile a una stanchezza affettiva. Un lento spegnersi dell’entusiasmo, come quando il cellulare resta al 3% e nessuna presa è in vista.

Capita. Più spesso di quanto si dica ad alta voce.

Non succede per colpa di uno solo, né per un evento eclatante. È una forma di logorio quotidiano, sottile, che piano piano si infiltra nei gesti e nelle parole. E finisce per farti pensare che, forse, è questa la vita di coppia adulta: sopravvivere. Ma no, non dovrebbe essere così.

Si chiama burnout relazionale, anche se il termine fa più pensare a un manager in cravatta che a due persone che si amano (o si amavano). Eppure è proprio quello: un esaurimento emotivo, una specie di fiato corto del cuore.

Succede quando le energie che servirebbero per far funzionare un rapporto vengono consumate altrove: tra i figli, il lavoro, la suocera troppo presente o il mutuo che non dorme mai. E allora cominci a vivere il partner come un collega in pausa pranzo: civile, ma distante. Affettuoso, forse, ma come in modalità automatica. I baci si danno per abitudine, le cene si fanno in silenzio. E le fantasie sul futuro si svuotano di colore.

Non è colpa di nessuno, o meglio: lo è di tutti e due. Ma senza processi, senza colpevoli.

Riconoscere il punto di rottura (senza fare rumore)

Il problema vero? Che spesso si tira avanti, ignorando i segnali. Perché parlarne fa paura. Perché mettere in discussione l’amore è come ammettere di aver fallito. Invece è proprio lì che può iniziare il recupero. Quando uno dei due (o entrambi) trova il coraggio di dire: “C’è qualcosa che non va. Non sei tu, non sono io. È l’aria che respiriamo insieme”.

Terapia di coppia
Riconoscere il punto di rottura (senza fare rumore) – efitworld.it

La differenza, spesso, la fa la comunicazione. Ma quella vera. Quella in cui si riesce a dire come ci si sente, senza puntare il dito. Con frasi tipo “Mi accorgo che…” oppure “Sento che ci stiamo perdendo”. E ascoltare, senza interrompere. È già molto.

A volte si pensa che l’unica soluzione sia cambiare l’altro. In realtà, spesso il cambiamento comincia dentro. Provare a chiedersi che ruolo si sta giocando in quel silenzio a due. Come se ognuno avesse messo un mattoncino nel muro che oggi li divide.

Scriverlo, anche solo per sé, può aiutare. Rileggerlo ancora di più.

Poi, certo, serve anche ricominciare a fare. Ma con leggerezza. Un’uscita in due che non sia per parlare della bolletta. Una camminata, un film, perfino una ricetta provata insieme. Riscoprire il gioco. Perché il gioco, quello sincero, è una forma d’intimità.

E magari, se serve, farsi aiutare. Una terapia di coppia non è un’ammissione di fallimento. È un tentativo onesto di ricostruzione. Non c’è un’unica strada. A volte ci si ritrova, altre ci si saluta. Ma farlo consapevolmente, con rispetto, è già una forma di cura.

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